Lavoro in team: motivazione e collaborazione. Per anni si è ragionato e agito nella direzione di queste due leve quasi come se fossero in contrapposizione: motivazione (intesa come spinta personale) o collaborazione.

Lo iato tra motivazione e collaborazione

Pare invece ormai finalmente sdoganata la diatriba tra due punti di vista che hanno animato per molti anni i dibattiti organizzativi e manageriali:

  • da un lato, chi sottolineava l’importanza della motivazione individuale, dell’ambizione e della competizione all’interno di un gruppo di lavoro, per poter raggiungere obiettivi di alto livello;
  • dall’altro, chi evidenziava il valore emergente della collaborazione, dell’empatia, del dialogo e dell’ascolto, per creare un team coeso e sintonico, con un clima psicologico positivo.

Questi due poli, sul campo, erano (e ancora in parte sono) teorizzati da team leader e C-level che tendevano a proiettare propri valori, convinzioni e abitudini su tutta l’organizzazione.

Si passa così da una dialettica quasi oppositiva, che identifica pro e contro sia nel lavoro di gruppo che nell’energia (a volte competitiva e dirompente) della motivazione, ad una dialettica integrativa che vede motivazione e collaborazione come due poli coesistenti che di fatto interagiscono in ogni team che funzioni davvero.

“Siate realisti, chiedete l’impossibile!”. A questa proposta la generazione che va incontro al prossimo secolo può aggiungere l’ingiunzione più solenne: “Se non faremo l’impossibile ci troveremo di fronte l’impensabile!”
Murray Bookchin

Lavorare in team fluidi e trasversali

Così, anche grazie a un approccio generativo che consente di pensare alle contraddizioni come parti di uno stesso insieme, iniziamo a incontrare manager e HR che ipotizzano nuovi modelli. Modelli nei quali le dinamiche individuali e di gruppo si fondono, creando sinergie micro-macro impensabili fino a pochi anni fa.

Da un lato, emergono in azienda cantieri di frontiera, dove le persone possono lavorare in team fluidi, trasversali, con modalità agili e snelle. Dall’altro nascono nuovi modelli organizzativi, che portano all’estremo le potenzialità di cooperazione trasversale, minimizzando le gerarchie e il controllo top-down.

Pur non essendo queste esperienze ancora pienamente diffuse, i casi di successo sono noti e ben visibili, e stanno crescendo le ambizioni dei manager e degli HR di potersi permettere un’organizzazione fluida.

Perchè l’impossibile è indispensabile?

Oggi le organizzazioni sono sistemi complessi, costituiti da sotto-sistemi complessi e agiscono in un contesto dove la complessità è ormai percepibile costantemente da tutti. Una realtà che sottopone le decisioni e la ricerca di soluzioni, alla pressione dell’ambiguità e dell’incertezza.

La sfida è quella di essere allenati a riorganizzarsi e auto-organizzarsi rapidamente, restar solidi, plastici e confidenti nell’esplorare e sperimentare in più direzioni. Saper saper stare nel confronto con la diversità in modo generativo. Per vincere la sfida è necessario trovare nella spinta della competizione, del desiderio di riuscire, incidere ed emergere, una sintesi con la capacità di cooperare con gli altri integrando la ricchezza delle loro competenze e approcci diversi.

Resta aperto però un tema spinoso: come attivare in modo concreto e profondo motivazione del personale e lavoro di gruppo? Come innescare nelle persone uno spirito condiviso che sostenga l’idea di organizzazione fluida, al di là della sua teorizzazione filosofica? Come accompagnare davvero le persone in questo nuovo progetto di lavorare in team?

E qui ci si scontra con uno dei grandi classici: come passare fattivamente dalla teoria alla pratica?

Sviluppare integrazione e cooperazione in azienda

Partendo dalla nostra esperienza, possiamo sintetizzare gli step cruciali che consentono una reale implementazione di nuovi modi di sviluppare integrazione e cooperazione in azienda:

  1. Efficacia di un team leader che testimoni in prima persona di essere in un percorso di transizione, di trasformazione. I team guidati da manager di questo tipo saranno ispirati a fare lo stesso. Il manager capace di mettersi realmente in discussione risulta agli occhi dei collaboratori maggiormente credibile, perché portatore di un percorso identitario e quindi non fragile;
  2. Sperimentazione di un’esperienza veramente disruptive, vissuta collettivamente, che aiuti le persone ad azzerare i pregiudizi, le etichette reciproche, le convinzioni limitanti su di sé, sui colleghi, sull’azienda e sul business, per poter ri-partire con nuova energia e disponibilità verso una nuova prospettiva;
  3. Agire una prassi solida di feedback, che superi le normali resistenze individuali e di gruppo a esporsi con una comunicazione più diretta e autentica. Tale prassi deve essere sperimentata in prima persona, attraverso un laboratorio di innesco, e poi mantenuta nel tempo attraverso la costruzione di abitudini specifiche.

Ed è con queste argomentazioni che concludiamo permettendoci una parafrasi, dicendo che il lavoro in team logora… chi non ce l’ha.