Inside Out dà un messaggio chiaro: voler essere sempre felici ci limita. L’ultimo film della Pixar si cimenta con un tema che può sembrare dedicato più al mondo degli adulti che dei bambini, ma parlare di empatia e intelligenza emotiva non ha un pubblico dedicato, è patrimonio di tutti.
Inside Out: la trama del film
La storia narra di una ragazzina gioiosa. In parte perché la sua vita le piace (gli amici, lo sport, la famiglia). In parte perché i suoi genitori, volendo il suo bene, si aspettano da lei sempre un sorriso. Dentro di lei, come in ciascuno di noi, albergano anche altre emozioni, ma non tutte trovano lo stesso spazio. Soprattutto la tristezza è relegata al ruolo di guastafeste, trattata con bonarietà ma nei fatti incompresa e segregata.
Ad un certo punto, però, nella vita di questa ragazzina cambia qualcosa: accadono eventi che la spaventano e la disorientano. Un trasloco, i problemi di lavoro del padre, le amicizie di un tempo ormai lontane e quelle nuove così “impossibili” da costruire. Così inizia il suo percorso di crescita, doloroso e rischioso. Il film mostra il suo mondo interiore, nel quale ogni emozione è visualizzata come un personaggio che parla ed agisce. Però, dentro di lei, tutto quello che le emozioni provano a fare, non fa altro che creare ulteriore difficoltà: semplicemente perché felicità, rabbia, disgusto e paura non hanno gli strumenti per affrontare la situazione. Si danno da fare, ma creano guai su guai. La bimba fugge di casa, non si riconosce più allo specchio, le sue certezze vanno in frantumi.
Tristezza è timida e impacciata, non è abituata a prendere parola, a “guidare”. Tutto quello che ha sempre fatto è stato visto come un errore. La storia cambierà solo quando questa emozione si autorizzerà ad esistere. La ragazzina scopre il valore di una lacrima, il desiderio di una rassicurazione, la possibilità di comprendere la sofferenza altrui e quella di chiedere aiuto. Sente la mancanza dei genitori, e mostra loro la propria fragilità, consentendo loro di avvicinarla e volerle bene in un modo nuovo.
Il concetto di speranzosità nel self-empowerment viene considerato spesso insieme al suo opposto, il timore. Ecco allora che di fronte agli accadimenti della vita ci troviamo a vivere la contraddizione fra l’energia positiva data dalla possibilità che gli eventi possano accadere e il timore che questa speranza possa non essere soddisfatta o concretamente realizzata. Il timore che le nostre speranze siano deluse reca un effetto di “compressione” dei nostri pensieri e delle nostre azioni.
I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni. Pablo Picasso
Ascoltare le emozioni alla base di empatia e intelligenza emotiva
In un momento triste, possiamo stare con la tristezza. Affezionarci ad una sola emozione (che sia anche “bella” come la felicità) limita la nostra possibilità di espressione, comprensione ed evoluzione.
Da genitori non è facile accettare la tristezza di un proprio figlio, io lo so bene. Da colleghi o capi, allo stesso modo, vorremmo attorno a noi solo persone felici. Ma imparare a sentire e accogliere quello che c’è, e non solo quello che vorremmo, è l’unico percorso che ci consente di attraversare le difficoltà. Ascoltare in modo aperto le emozioni (nostre ed altrui) e dare loro dignità d’essere è la competenza sulla quale si fonda la nostra empatia e intelligenza emotiva, capacità che possiamo (e dobbiamo) allenare.
Essere i grado di attingere consapevolmente alla nostra emotività, ci rende nella relazione e nella comunicazione più autentici, presenti, efficaci ed incisivi. Infatti, più siamo in contatto con le nostre emozioni, tanto più saremo potenti nella comunicazione e allo stesso tempo empatici nel comprendere l’altro e i suoi sentimenti.
Scrivo questo post in onore di Antonio, persona incontrata mesi fa in un laboratorio. Mi regalò la sua cravatta, solo perché mi piaceva. Ora Antonio non c’è più, e di fronte a questo lo ringrazio per quanto mi ha dato e per quanto mi sta dando anche in questo momento. Il suo sorriso, la sua generosità e apertura furono per me la porta aperta per conoscerlo e apprezzarlo. La tristezza è dentro di me un modo per cullare il suo ricordo, vederlo evolvere, scolorire piano piano dal dolore e restare luminoso e dorato. Mi resta quella cravatta, e penso che domani la metterò.
Basta poco per essere felici…..e noi facciamo finta a volte di non saperlo.
Il tuo ricordo di Antonio commuove
ho conosciuto Antonio in qualche veloce occasione
abbiamo lavorato con obiettivi e pensieri molto probabilmente comuni a 1200 chilometri di distanza, eppure quella mattina la tristezza ha pervaso il mio cuore come quello di chi, vicino a me, lo conosceva…
si è vero i sentimenti, tutti, è bene affrontarli. Anzi viverli. Tutti senza nessun timore
alla fine saremo più forti e più grandi
anch’io , metaforicamente, metterò la tua cravatta …
¨Ma imparare a sentire e accogliere quello che c’è, e non solo quello che vorremmo, è l’unico percorso che ci consente di attraversare le difficoltà¨. It is so true, but it is so difficult to do when you grew up having in mind that be happy is a must in your life. Great post, as always.
Thank you Javier. To accept sadness, to accept pain, to accept yourself as you are… no more unuseful fears!
Grazie, Federico, per aver dedicato ad Antonio una riflessione così di sostanza e vera.
I bambini non lo sanno e lo imparano. Noi adulti lo sappiamo ma accettarlo, sentire l’utilità della tristezza, resta difficile. È il nostro mostro blu.
Calvino scriveva “quanta leggerezza ci vuole per essere un Perseo, uccisore di mostri”. Quanta sensata umanità.
Vi ringrazio per i vostri commenti. E’ vero Stefano, a volte basta poco per essere felici. Altre volte per “esserci” dobbiamo saper accogliere tutto quello che arriva, come dice Daniele, anche il dolore.
Quella cravatta è blu, Lara, penserò da oggi che arrivi direttamente dalle squame di un mostro blu, per ricordarmi che le pause, i silenzi, le attese e le mancanze sono parte della nostra esistenza.
Ancora oggi, come spesso capita, mi fermo a leggere queste splendide righe che mi danno la consapevolezza che nella semplicità, nella trasparenza di una persona troviamo l’essenziale per essere ricordati come delle GRANDI persone. Ancora oggi mi chiedo: “com’è possibile che quella persona abbia regalato l’accessorio di cui non si sarebbe mai privato?” vorrà dire che per lui quel “semplice” gesto era vista come segno di gratitudine.
Il figlio di Antonio.