Per intraprendere un percorso di autosviluppo ed esplorazione di nuove possibilità (self-empowerment), è abilitante saper partire dalle proprie risorse presenti. Riconoscendo a se stessi quali sono le proprie qualità più forti e sulle quali poter fare affidamento.
Le nostre risorse sono i nostri superpoteri
Quante volte hai chiesto a qualcuno di dare più? E quante volte hai avuto come risposta: “Guarda che non ho i super poteri!”.
Quante volte hai chiesto di più a te stesso ed intimamente ti sei confrontato con la stessa risposta?
Capita spesso, durante i laboratori o i coaching di sviluppo del potenziale, di confrontarmi con questo “killer” che pone alle persone un limite sensato e condivisibile, ma che crea anche ostacoli e barriere dove in realtà non ce ne sarebbero.
Siamo tutti immersi in una cultura che mitizzando il super eroe, crea ideali di perfezione. A volte aderisci, colludendo con questi modelli, altre volte reagisci. Di certo, prima o poi, tutti scopriamo di essere “normali”. A volte ne soffriamo. E scopriamo che anche le persone alle quali vogliamo bene sono “normali”. E allo stesso modo, quelle che ammiriamo sul lavoro. E pure quelle che detestiamo.
Tutti normali o meglio “tutti umani”, perché è “umana” è ogni possibilità espressiva in noi. Una gamma infinita di possibilità che è l’altra faccia della medaglia della fissità scultorea dei superoi.
“Le statue che bisogna fare un viaggio per vederle, perchè loro non si disturbano. (Julio Cortazar)”
Il termine Mindfulness può essere tradotto in “consapevolezza”. Deriva dal Buddismo ed è la traduzione della parola “sati”, che qualifica la consapevolezza come attenzione intenzionale e non giudicante al momento presente, al “qui ed ora”.
Per intraprendere un percorso di autosviluppo ed esplorazione di nuove possibilità (self-empowerment), è abilitante saper partire dalle proprie risorse presenti. Riconoscendo a se stessi quali sono le proprie qualità più forti e sulle quali poter fare affidamento. Questo significa andare nel mondo esprimendo prima di tutto le proprie aree di adeguatezza, sentendosi quindi abilitati a fare qualcosa, sebbene ovviamente non “perfetti”.
L’autosviluppo e il killer della perfezione
A volte ne soffriamo. Ma non sempre: altre volte ne siamo sollevati e ne facciamo quasi un alibi: “Non posso arrivare dappertutto… non sono perfetto. Prendetemi per ciò che sono”.
Però, mi capita di pensarla anche in un altro modo, sicuramente più utile all’autosviluppo.
Se davvero nessuno di noi è perfetto, allora, in un certo senso, siamo tutti difettati. E se siamo tutti difettati possiamo per lo meno fare tre cose:
1. Accettare davvero i nostri difetti, i nostri limiti, e volerci comunque molto bene. Perché, probabilmente, chi ce ne vuole, lo fa anche perché ci accetta così come siamo;
2. Usare bene i nostri difetti, vederne gli aspetti positivi, ed esprimerli senza ritegno in quei contesti nei quali invece che limitarci ci danno una marcia in più;
3. Imparare i difetti che ci mancano, e che insieme ai nostri, ci rendono più completi, più sfaccettati, più ricchi.
Quindi, la prossima volta che senti dire: “Eh ma io non ho i super poteri” prova a pensare a quale difetto manca a quella persona, e diglielo! Non devi farti crescere poteri eccezionali, basta imparare qualche difettuccio in più. Un po’ di egoismo in più, per qualcuno che grande passo in avanti sarebbe! E, per altri, un po’ di pigrizia? O di menefreghismo? O di cattiveria? O di invidia?
L’imperfezione è umana
Pensate a chi controlla tutto, quanto gli gioverebbe un po’ di inedia o superficialità. E a chi è troppo spericolato, un po’ di codardia? E a chi fa di tutto una questione di principio e moralità, un pizzico di scorrettezza…
Così immagino che il più impostato e snob di turno, almeno una volta, entri in ufficio fischiettando una canzone di Gigi d’Alessio. O il più incazzoso dell’azienda, almeno una volta, dia un bacio sulla guancia ad un collega. O ancora il più preciso di tutti che, almeno una volta, mandi una mail con un refuso… e sappia riderci su.
Potrebbero sembrare tentativi maldestri, piccole cose, o rischiosi percorsi di auto-peggioramento. Si tratta invece di darsi qualche permesso in più: accogliersi anche diversi, scoprirsi nuovi, negare la necessità di ripetersi sempre uguali e accorgersi che c’è un infinito panorama di possibilità da esplorare, per chi è curioso e non pretende di essere perfetto al primo colpo. E neanche al secondo… o forse mai.
E ragionare così, al contrario, mi piace anche per un altro motivo: ci porta fuori dal moralismo del “politicamente corretto” a tutti i costi. Essere vivi significa accettare anche le zone d’ombra, le incoerenze e le contraddizioni che ci portiamo dentro, e che il moralismo nega sterilizzando molti rischi, ma anche troppe verità.
Vi lascio allora con questo breve video, intrigante punto di vista di uno che, tra l’altro, fondò i Monty Python…
Mi è piaciuto molto questo articolo, credo che non si dica mai abbastanza quanto importante volersi più bene.
E poi, pur dicendolo, spesso non è semplice realizzarlo davvero. Grazie Luigi
Il punto essenziale per me e’ far capire agli altri che malgrado la mia parte normale c’e’ n’e’ una altrattatto sub-normale.
Ed e’ la piu’ intima e vera di tutte. Le devo dedicare piu’ tempo perche’ e’ timida ma spesso lascia il segno !
Se negli anni ci sto riuscendo sempre di piu; e sempre in modo efficace e grazie a Torreluna e ai preziosi consigli di William e Federico.
Grazie di cuore…
Angelo Signorino
Far capire qualcosa agli altri altri è sempre una sfida impossibile, ma capisco quello che vuoi dire Angelo e ti auguro un grande “in bocca al lupo” per questa tua avventura!
Profondo
Grazie Danilo. Penso che tu, come altri, abbia saputo bene come fare buon uso dei tuoi difetti! Un abbraccio
Diciamocela tutta…
Richiede molto più coraggio attraversare questa vita da umani che da supereroi.
Affrontare il mondo, gli altri, se stessi senza poteri: armati si di talenti e virtù, ma anche di debolezze, paure, difetti, dubbi, tremori e paralisi…
Nessuna ragnatela di salvataggio, ma cadere e umanamente farsi male, tanto male, fratturarsi le ossa, tagliarsi la pelle: guarire di guarigioni lente e poi tornare cocciuti a combattere, o vivere.
Nessun mantello o fiamma che sollevi, ma provare a volare alto contro la gravità e il buon senso, col cuore, e a volte sentire i piedi sollevarsi da terra.
Avere schegge di criptonite passata, presente e futura incastonate nel petto, eppure sorprendersi a respirare, vedere, sentire, toccare: camminare al passo lento di un’autostima da coltivare inseguendo momenti di felicità.
Perché noi esseri fatti di imperfezione e mortalità sappiamo metterci passione e scintille, calore nei nostri goffi e fecondi sprizzi di disperato, potente, sfacciato, geniale spirito di sopravvivenza.
E allora, alla richiesta “dammi di più”, la giusta risposta è “non ho i superpoteri: quindi certo che lo posso fare”.
Ci sono “normopoteri” che possono portare verso l’infinito e oltre…
“Non ho i superpoteri: quindi certo che lo posso fare”. Mi piace troppo: date una medaglia a questa donna!