Una domanda che sento spesso: ma davvero si possono superare i propri limiti? E’ utile pensare che sia possibile, oppure ci porta ad illuderci, ad essere avventati oppure frustrati…

Nei fatti siamo tutti limitati, sia concretamente, sia mentalmente. Che i nostri confini mentali siano ristretti o amplissimi, sono comunque presenti: non si può negare. L’elasticità di questi limiti è da sempre fonte di dibattito. Anche chi oggi studia il cervello si divide tra approcci che valorizzano una plasticità cerebrale quasi illimitata e altri che osservano le “cablature” cerebrali, arrivando a ipotizzarle sostanzialmente stabili nel tempo, e quindi immutabili.

Questo dibattito è aperto ma, dal punto di vista individuale e pragmatico, irrilevante. Poiché anche fosse vero che a livello di sviluppo del nostro potenziale siamo più o meno limitati, quello che conta davvero è il modo nel quale decidiamo di trattare i nostri limiti e le nostre risorse. Lo sguardo che sappiamo porre su noi stessi fa la differenza. La nostra bellezza, quando guardiamo noi stessi, sta nei nostri occhi.

Esistono allora almeno quattro modi di guardare a sé, alle proprie risorse e ai propri limiti:

  • Negare se stessi: significa non guardare a sé, distogliere lo sguardo, non occuparsi della propria crescita e ritenerla impossibile
  • Rassegnarsi a se stessi: significa guardare a sé con sfiducia e senza piacersi, piangersi addosso e pensare che il miglioramento sia troppo impegnativo
  • Gestire se stessi: significa guardare a sé e accettare quello che si vede, e fare del proprio meglio con quello che si ha
  • Aprirsi a se stessi: significa guardare a sé in modo curioso, fiducioso rispetto a spazi di evoluzioni, disponibili anche a forzarsi (e stupirsi) un po’.

Un mio limite è l’inglese. E questo limite, negli anni, si è costellato anche di convinzioni più che ragionevoli e razionali, come ad esempio che una lingua, per impararla bene, va imparata da giovani, oppure che sia impossibile utilizzare una lingua straniera in un lavoro come il mio, nel quale “la parola giusta” è così importante.

Tutto vero. Tutto falso.

Ho scoperto due cose importanti. La prima è che l’inglese facilita la comunicazione, non la complica. Mi aiuta ad essere più diretto, più dritto. Più sincero. Mi costringe ad un linguaggio più asciutto e mi libera dalla “vischiosità” culturale che spesso ci limita, tra conterranei. La seconda è che l’inglese mi emoziona. Mi emoziona la possibilità di un incontro fuori dai miei confini (attuali).

Ogni passo nuovo comporta trepidazione. Se non provi mai questa emozione, forse sei immobile.

Sento spesso usare la metafora della staffetta, soprattutto quando si parla di gruppi di lavoro. Uno porta il testimone, e poi lo passa a un altro che fa il suo pezzo e lo passa a sua volta… Oggi voglio pensare alla vita come ad una staffetta con se stessi. Ogni giorno ricevi il testimone dal te stesso di ieri. Fai del tuo meglio e lo passerai al te stesso di domani. Puoi lamentarti di come ti arriva questo testimone, di come il te stesso del passato ha corso, del punto di partenza che ti sei ritrovato. Oppure puoi prendere questo testimone e, ogni oggi, giocarti nuovo.

Tutto questo anche per dire benvenuto alla Versione Inglese del nostro sito.