Nei laboratori di self-empowerment, ad un certo punto mettiamo le sedie in cerchio e, regolarmente, qualcuno dichiara: “Mi chiamo Giuseppe, e non bevo da tre giorni”. Tutti ridono. Io dico ad alta voce: “Se avessi un euro per tutte le volte che l’ho sentita”. E poi si comincia. Ormai è una specie di rito.

Anonima Autosviluppo: disintossicarsi dalle proprie competenze

Così, la settimana scorsa, ho deciso che era ora di dire basta: e che gruppo di auto-aiuto sia! In sessione serale abbiamo allora costruito un vero e proprio set, dividendo i ruoli tra attori, cameraman e autori. L’aula era composta da un gruppo di esperti tecnici e scientifici ai quali l’azienda sta chiedendo di aumentare il proprio impatto e capacità di dialogare fuori dall’ambito di competenza, diventando più bravi a divulgare, influenzare ed innovare.

Da cosa si dovrebbero disintossicare costoro? Semplice: dalla visione della competenza come rifugio, come spazio nel quale nascondersi, della conoscenza come identità, piuttosto che come ricchezza da condividere nel mondo e nell’azienda, per generare nuovi prodotti, idee e business.

Spesso infatti viviamo il processo di crescita ed evoluzione personale come un percorso attraverso il quale costruire, in parte anche artefare, noi stessi, al fine di risultare migliori, di apparire più capaci o vincenti. Il rischio è quello di aggiungere comportamenti, metodi e atteggiamenti in modo un po’ forzoso, e così facendo perdere naturalezza, autenticità. Il processo di self-empowerment invece proprio all’autenticità tende, e ricorda quindi più il lavoro dello scultore che “toglie il superfluo” che non quello dell’arredatore un po’ kitsch che aggiunge un ulteriore soprammobile. Nudità, in questi termini, è quindi un obiettivo, una direzione da poter perseguire per far emergere il valore delle proprie qualità innate, accettando se stessi e, magari, anche le proprie vulnerabilità.

Il talento non è tutto

Si demitizza così il talento in quanto tale, l’accezione di extra-ordinarietà che riguarda pochi, a favore di un’accezione più ordinaria (ma non meno eccezionale!) che può invece riguardare tutti, e che ha a che fare con l’assunzione di responsabilità di ciascuno, nell’acquisizione di consapevolezza dei propri punti di forza e nella messa in campo di volontà, desiderio e determinazione per la messa a frutto.

Ecco allora che, nel percorso di empowerment di queste persone, abbiamo aggiunto un tassello fondamentale. Perché, a volte, il miglior strumento di auto-aiuto si chiama ironia.

Guardare alle proprie inadeguatezze con ironia

Ogni percorso di sviluppo, infatti, ci porta a contatto con la difficoltà di esporre le nostre inadeguatezze. Un percorso di empowerment, per noi, ha quindi anche il compito di disinnescare queste paure, osservandole nella loro corretta dimensione.

Ci occupiamo, nelle aziende, di rendere le persone più potenti e protagoniste. Questo passa anche attraverso la capacità di scherzare su di sé e di alleggerire i carichi plumbei che alle volte ci mettiamo o ci facciamo mettere sulle spalle, al fine di scoprirsi più efficaci e, allo stesso tempo, più autorevoli.

Perché, citando Roberto Gervaso, in azienda come nella vita: quanta gente sarebbe più seria se non si prendesse troppo sul serio.