Lasciarsi fa schifo, non si può negare. Fa schifo essere lasciati, e quasi sempre fa schifo anche lasciare.
Il dolore della perdita, la necessità di affrontare qualcosa di sconosciuto, l’empatia con il dolore altrui, la paura delle conseguenze. Mel Robbins evidenzia bene la cosa sottolineando come siamo sostanzialmente progettati per mantenere lo status quo, in un certo senso per essere indolenti (guarda qui il suo video).
Ciò nonostante le persone oggi, nella società liquida, sono sempre più sottoposte alla possibilità di essere lasciate o alla difficoltà di dover o voler lasciare. Quanto spesso, chi è nato prima di noi, si è dovuto confrontare con la fine di una rapporto? Pensiamo alla generazione dei nostri nonni o bisnonni, nati all’inizio del secolo scorso: quanti hanno cambiato più partner? Quanti hanno cambiato più lavori? Quanti hanno cambiato più fedi politiche o religiose?
La stessa OMS definisce la salute-benessere come “l’adattamento perfetto e continuo di un organismo al suo ambiente”. Lo spunto adattivo è molto importante perché introduce il concetto in base al quale il benessere non è uno “stato” ma una condizione dinamica, fondata sulla capacità del soggetto di interagire con l’ambiente in modo positivo (cambiare l’ambiente circostante o farvi fronte), pur nel continuo modificarsi della realtà.
Oggi una competenza del sapersi lasciare è cruciale per ciascuno di noi, perché sappiamo trarre il meglio da un’esperienza dura e dolorosa, approcciandola davvero come occasione di evoluzione e rimessa in discussione. Il rischio altrimenti è quello di incontrare persone ancora arrabbiate, a distanza di anni, con un partner o un datore di lavoro. Persone che si sentono sempre tradite o ferite e che non hanno fatto, prima di tutto per sé, un passo in avanti. Oppure che trascinano all’infinito rapporti ormai finiti, che non si costruiscono alternative valide oppure si raccontano di essere prigionieri della situazione.
Forse possiamo iniziare a pensarla in un altro modo, ovvero che lasciarsi è (anche) bello.
Ma perché lasciarsi è (anche) bello?
- lasciarsi rende più autonomi: come ogni lutto se elaborato, il lasciarsi ci dà l’occasione di scoprirci vivi e vegeti nonostante la perdita, di esplorare nuovi livelli di autonomia. Tutte cose che possiamo fare in prima persona. quando magari pensavamo di doverci necessariamente appoggiare a qualcun altro. Penso ad esempio ad un dirigente che ha perso il lavoro e che oggi si scopre capace come imprenditore, autonomo nello stare sul mercato in prima persona, senza il supporto di un brand, di una struttura, di una linea gerarchica o di una rassicurante solidità finanziaria.
- lasciarsi ci fa misurare con noi stessi: quando l’altra persona non è più nella nostra vita, o quel lavoro ormai è andato, abbiamo l’opportunità di guardarci dentro in modo più diretto. Certo, possiamo continuare a battere la “scorciatoia” delle colpe altrui. Scorciatoia che facilita il percorso ma senza condurre da nessuna parte. Oppure possiamo lasciar andare l’altro e guardarci dentro: cosa avremmo potuto fare di diverso? Cosa possiamo imparare da questa esperienza? Cosa vogliamo davvero cambiare da qui in avanti? In che modo abbiamo contribuito alla disfatta? Sono tutte domande difficili, ma spesso fonte di riflessioni produttive.
- lasciarci ci riconduce all’essenziale: possiamo lasciare andare i dettagli, centrarci su quello che conta, perché il dolore ci connette alle cose importanti, alle priorità che spesso perdiamo tra i mille rivoli della quotidianità. Perché ripartire? Cosa mi alimenta davvero? Cosa voglio fare adesso che una parte così importante non c’è più? Chi voglio essere?
Separarsi è sì dolce dolore, che dirò buona notte finché non sarà mattina. Giulietta, atto II
Come lasciarsi in bellezza
Negli anni ho incontrato migliaia di persone in laboratori e colloqui individuali: provo qui a tracciare come punto di partenza per questa riflessione gli atteggiamenti di chi sa lasciarsi davvero bene… che forse possono essere un primo spunto su come prepararsi a lasciarsi in bellezza:
- fiducia in sé e nelle proprie risorse, e quindi fiducia di poter comunque conquistare altre persone, lavori, possibilità… di essere validi e di conseguenza saper ricreare contesti positivi se non migliori di quelli lasciati, di poter affrontare lo sconcerto e la paura di essere soli di fronte al mondo… almeno per un po’
- speranza, fiducia nel futuro, capacità di immaginare anche scenari futuri positivi e non solo preoccupanti. E di conseguenza, saper guardare al futuro, anche in un momento di difficoltà, con uno sguardo anche positivo; ed avere fiducia allo stesso tempo nella persona lasciata, che abbia le qualità per fare fronte al dolore e alla fatica della separazione
- gratitudine, capacità di guardare agli altri con riconoscenza, anche a fronte di una situazione dolorosa, o nella quali gli altri ci hanno fatto anche male. E di conseguenza, capacità di tenere il buono degli altri, delle situazioni passate, senza gettarlo via solo perché intriso anche di elementi negativi o spiacevoli
- capacità di guardare primariamente alle proprie responsabilità piuttosto che a quelle altrui, e parallelamente guardare a sé non in termini di colpa ma in modo più neutro e comprensivo, accettando i propri errori ed allo stesso tempo lavorando su di sé per non ripeterli
- coraggio, sincerità con se stessi e con gli altri, ovvero la capacità di affrontare le difficoltà, di non mettere la polvere sotto al tappeto, di non accontentarsi o costringere gli altri a farlo, di essere onesti rispetto ai propri sentimenti e desideri
Figli di genitori separati in perenne conflitto. Lavoratori scontenti incapaci di pensare ad un lavoro nuovo. Rapporti che finiscono con un sms.
Il locus of control riguarda il grado di controllo percepito dalla persona sugli eventi, è in sostanza la lettura che noi diamo ai fatti o situazioni che accadono, riportandoli a cause di nostra pertinenza oppure a noi esterne. Ogni evento che in qualche modo ci riguarda, sarà quindi in parte causato dai nostri comportamenti o atteggiamenti, in parte generato da comportamenti altrui o avvenimenti esterni.
Abbiamo bisogno di una nuova competenza: imparare a lasciare e imparare ad essere lasciati. Ma forse questa competenza non dobbiamo impararla da zero: in parte è da recuperare perché già naturalmente la conosciamo. A ogni passaggio di crescita corrisponde infatti una separazione positiva, a partire dal momento della nascita. A ogni separazione ben fatta corrisponde una nascita.
Vale davvero la pena di lavorarci. Buon lavoro a tutti noi.
GRANDE FEDERICO!!
Grazie Nazzareno :-)
Ieri sera ho riletto e condiviso il tuo articolo.
Nel farlo pensavo a quanto fosse particolarmente vicino al presente, ovvero a quella separazione che ogni giorno facciamo quando lasciamo il giorno per la notte, quando – coraggiosissimi – abbandoniamo la sicurezza dei cinque sensi che ci rendono vigili e attenti sulla realtà, per abbandonarci quasi inermi alla fantasia dei sogni.
E’ vero, alcune separazioni possono essere veramente belle.
Sì, Paola, ma noi restiamo insieme ancora un po’, ok? :-)
Mi piace. Mi strapiace.
Io ho elaborato il lutto e mi sono riscoperta più forte, ho capito tanto di me.
Grazie Federico.
Grazie a te Martina, la scoperta è spesso il bel frutto di un percorso doloroso, per chi si da la possibilità di viverlo fino in fondo.
bello e vero…
nella bellezza di lasciarsi c’è anche la scelta di farlo, sicuramente includendo il pezzo di dolore che implica ma anche quello del
sogno…è che lasciare non diventa abbandonare.
grazie Federico, molto bello
Grazie Evangelina, c’è poi da dire che non tutte le separazioni sono scelte, e sia io sia tu ne abbiamo avuto la riconferma di recente purtroppo… ti abbraccio forte e ti auguro buon viaggio
E’ giusto. E’ giusto reagire, é giusto mettersi nuovamente in gioco, é giusto anche cercare il lato positivo, ed é giusto ricominciare.
Però, per il semplice fatto che queste cose accadono e possono accadere a chiunque, non é giusto confonderele con il bello. Lasciarsi é un fallimento, come tanti ne affrontiamo nella vita (la mia lista é davvero lunga!). Fanno parte di noi, ci aiutano a crescere, a migliorare, a riconoscere gli errori, ad acquisire nuove competenze con il fine ultimo di essere migliori ed evitare un altro fallimento, un altro dolore.
Diamo il giusto peso alle parole altrimenti inganneremo solo noi stessi e gli altri. Lasciarsi non é mai bello.
Ciao Marco, di certo questo argomento tocca in ciascuno di noi corde delicate e ogni punto di vista, legato ad un vissuto personale, è corretto.
Detto questo non voglio negare che lasciarsi possa rappresentare un fallimento, e che spesso non sia bello, ma allo stesso tempo la mia vita mi ha dimostrato che alcune volte il lasciarsi libera le persone ad esplorare nuove strade e possibilità. Ad esempio la mia esperienza professionale di oggi è partita dal momento in cui ho pensato di poter lasciare una situazione confortevole e positiva, ma che non corrispondeva più a pieno con il mio desiderio di allora di sperimentarmi in modi diversi…
Alle volte credo che mascheriamo la nostra paura di cambiare dietro alla volontà di non separarci. In azienda incontro poi però troppe persone che non stanno scegliendo di restare dove sono, ma semplicemente che non prendono in considerazione un cambiamento o una nuova sfida. Forse le separazioni non sono sempre positive, allora, ma per lo meno prenderle in considerazione ci libera dal raccontarci di essere prigionieri di relazioni che potremmo invece valutare davvero, magari per poi anche poterle riscegliere con maggiore protagonismo e convinzione.
Toccare il proprio dolore, per quanto possa essere difficile, ci aiuta ad evolvere. Un percorso duro da affrontare ma coraggioso
Grazie Sonia, so che condividiamo alcune esperienze in merito. Un abbraccio, Federico
Come sempre Federico ci dai una chiave di lettura diversa e coraggiosa (in queso caso ottimista) delle cose che ci possono capitare e delle emozioni che ci troviamo a gestire, spingendoci a riflettere, a confrontarci con noi stessi e ad affrontare le situazioni . Questo facendoci capire che in fin dei conti non siamo i “primi” o i “soli” a dover vivere certe emozioni. Cio che fai in aula riesci a farlo in questo blog. Ti ringrazio per questo.
Grazie Ivano, so che in questo periodo particolare queste riflessioni sono dense e dolorose per te. Ti abbraccio, Federico